La vita ci chiama

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La Vita ci chiama. Continuamente, costantemente, alacremente. E soprattutto, nei modi e nei tempi più disparati e impensati. Perché è Lei che decide.

E a noi spetta restare attenti, vigili, sensibili alle sue più impercettibili manifestazioni, così come alle invocazioni più roboanti.

C’è chi conosce il suo partner nella controparte di un incidente stradale, chi approda ad un lavoro socialmente utile, a causa di un licenziamento in tronco, dopo anni di sotterfugi, chi ricomincia ad apprezzare le piccole, grandi cose della quotidianità dopo essere stato in pericolo di vita.

Ma la Vita ci sollecita all’appello anche con quei malesseri psicoemotivi che spesso cerchiamo di sedare sul nascere con il tranquillante, la pastiglietta, l’antidepressivo, o l’antidolorifico. Come se una sofferenza dell’anima possa essere ammutolita con rimedi infinitesimali e istantanei.

Il dolore richiede ascolto, comprensione, compassione, cura, intesa come amorevole presa a cuore. L’insoddisfazione, la frustrazione, la rabbia, ogni singola manifestazione che turba quel sottile, fragile equilibrio che devia dalla condizione di ben-essere, deve essere presa in esame. Accolta, accettata, compresa, lasciata andare. E’ solo andando alla radice, scovando il lato nascosto, spesso simbolico, di ogni singolo messaggio, che si può decodificare e dare un senso a quel che la Vita ci sussurra.

Siamo stati abituati fin da piccolo a porci obiettivi, mete ambiziose, agire di continuo, piegare la realtà per ridurla a nostra immagine e somiglianza. Giochiamo a chi grida più forte. In tutto questo processo, però, si è scivolati nel pericoloso estremo di non considerare che, in realtà, un’ampia quota di Vita ci sfugge dalle mani e da qualsivoglia forma di previsione e di controllo. E questo ci scotta. Proprio a noi che abbiamo inventato le previsioni meteo valide per giorni e giorni, i navigatori satellitari che in tempo reale indicano le strade interrotte e le condizioni del traffico.

Spesso la Vita disorienta, e non c’è bussola che tenga.

E allora torna prepotentemente a farsi largo la necessità di ascoltare, quei sottili spesso flebili segnali, specie se si continuano ad urlare i propri ‘no’, i ‘voglio’, ‘desidero’, ‘mi spetta’. Arriva un giorno in cui ci si deve mettere da parte e lasciare fare alla Vita, rispetto alla quale si diviene umili servitori.

Che smacco.

Per certi versi è liberatorio: c’è un progetto di Vita per ciascuno di noi. E la responsabilità e la quota di libertà che abbiamo sta in questa adesione, convinta, sentita.

di Anna Fata

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Ciò che siamo abituati a chiamare “malattie”, sono in realtà segnali che ci dicono che qualcosa in noi non va, quindi occasioni per crescere: forse varrebbe la pena di fare un sforzo, mettere in discussione i nostri timori e comprendere realmente la causa profonda del nostro personale malessere.