Ti curo io, disse piccolo orso – Janosch

Un giorno Piccolo Tigre uscì dal bosco zoppicando.
Piccolo Orso arrivò di corsa da lui e disse:
“Che succede, Tigre, sei malato?
Non è grave”, disse piccolo Orso, “ti curo, io.”

La storia ha inizio proprio così nel bel mezzo di un accadimento. Piccolo Tigre è a terra dolorante, su una stradina accanto al bosco “nel bel mezzo del prato”. Zoppica e sta molto male.


Piccolo Orso giunge in suo aiuto, indaga il malessere, lo porta a casa, lo fascia da capo a piedi (“la testa no”, aggiunse Piccolo Tigre “perché potrebbe venirmi la tosse”).


Ora iniziano una serie di azioni per curare e rispondere alle richieste di Tigre fino a essere accompagnato da un corteo di amici all’ospedale degli animali dove sarà curato (e finalmente guarito!).
Tutto bene quel che finisce bene, dunque, certo.
Non era sufficiente la cura di Orso?
No, probabilmente in questo caso non lo era, ma non fa niente, la cura di Orso era indispensabile lo stesso!

Ti curo io, disse piccolo Orso è un libricino di piccolo formato, leggero e in brossura di Janosch pubblicato da Logos edizioni.


Con grande delicatezza, Janosch dipinge quadretti dal sapore familiare e domestico nei quali i protagonisti – Tigre, Orso e altri animali – vivono piccole avventure ambientate nella loro casetta e negli immediati dintorni. Nelle sue storie si respira una piacevole armonia.

Non solo i disegni di Janosch emanano magia, ma anche i vari contenuti: insieme riescono a superare i momenti difficili, proprio come la tigre che non solo riceve un grande sostegno dall’orso, ma anche dai suoi amici. Compaiono termini come radiografia e chirurgia e sono spiegati quasi incidentalmente, rimuovendo così la paura dell’esame e dell’ospedale. Un classico, e giustamente, non solo per i bambini che stanno poco bene.

Il valore dell’amicizia affiora pagina dopo pagina nella complicità, nelle parole non dette, nei piccoli gesti di cura, nelle attenzioni per l’altro e negli abbracci. È un’amicizia a due, quella tra Piccolo Tigre e Piccolo Orso ma anche di un’intera comunità quando al bisogno arrivano anche tutti gli altri animali – Elefantone Gentile, Anatra Gialla, Topo, Riccio, Asino Errante… Tutti vogliono bene a Tigre, “il nostro Tigre” come dice Zia Oca pronta a farlo star meglio con lo sciroppo di nuvole

Adesso chiedi pure il tuo piatto preferito“, disse Piccolo Orso una volta arrivati a casa
e io te lo cucinerò“.

Trota salterina con salsa alle mandorle e pangrattato“, esclamò Piccolo Tigre.
Dinne un altro“, ribatté Piccolo Orso.

Pasta all’uovo con salsa alle mandorle e pangrattato“, disse Piccolo Tigre.
Un altro ancora” disse Piccolo Orso, di “zuppa!”
“Ma certo è proprio quello che volevo dire!”

In questo breve scambio di battute si racchiude il senso profondo della relazione che lega Orsetto a Tigre, ma a ben vedere, che tiene insieme l’intero gruppo di animali. E’ un desiderio naturale e speciale di andare incontro all’altro, con la consapevolezza di poter rinunciare senza sforzo a qualcosa di sé, per la felicità dell’altro.

“Ti curo io” sicuramente una piccola frase che trabocca di amore profondo, di protezioni, di quel desiderio speciale di star bene insieme…perchè la cura, è non solamente da intendersi in senso stretto, ma anche come accudimento di una relazione di affetto reciproco…ecco dunque è proprio questo il senso bellissimo e profondo di questo piccolo bellissimo libro!

La disponibilità, lo stare insieme e la prima grande visita dal dottore sono i temi centrali. Ma si tratta anche di prendersi cura, prendersi cura e cucinare… Una storia perfetta per tutta la famiglia!

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Per tutte le mamme!

auguri-MAMMA

Questo è per le madri che stanno alzate tutta la notte tenendo in braccio i loro bambini ammalati dicendo “è tutto a posto tesoro, la mamma è qui con te”.

Per quelle che stanno per ore con i loro bambini che piangono in braccio cercando di dar loro conforto.
Questo è per tutte le madri che vanno a lavorare con il rigurgito nei capelli, macchie di latte sulla camicia e pannolini nella loro borsetta.
Per tutte le mamme che riempiono le macchine di bimbi, fanno torte e biscotti e cuciono a mano i costumi di carnevale.
E tutte le madri che NON FANNO queste cose.
Questo è per le madri che danno la luce a bambini che non vedranno mai.
E quelle madri che hanno dato una casa a quei bambini.
Per le madri che hanno perso i loro bambini durante quei preziosi 9 mesi e che non potranno mai vederli crescere sulla terra ma un giorno potranno ritrovare in Cielo!

Questo è per le madri che hanno collezioni d’arte di valore inestimabile appesi in cucina.
Per le madri che si sono gelate al freddo alle partite di calcio invece di guardare dal caldo dalla macchina così quando il bimbo le chiede “Mi hai visto, Mamma?” potranno dire “Certo! Non me lo sarei perso per niente al mondo!” pensandolo veramente.
Questo è per tutte le madri che danno una sculacciata disperatamente ai loro bambini al supermercato quando urlano facendo i capricci per il gelato prima di cena. E per tutte le mamme che invece contano fino a 10.
Questo è per tutte le mamme che si sono sedute con i loro figli per spiegare come nascono i bambini. E per tutte le madri che
avrebbero tanto voluto farlo, ma non riescono a trovare le parole.
Questo è per tutte le mamme che fanno la fame per dare da mangiare ai loro figli.
Per tutte le madri che leggono la stessa favola due volte tutte le sere e poi lo rileggono “ancora una volta”.

Questo è per tutte le madri che hanno insegnato ai loro bambini di allacciarsi le scarpe prima che iniziassero ad andare a scuola. E per tutte quelle che hanno invece optato per il velcro.
Questo è per tutte le madri che hanno insegnato ai loro figli maschi a cucinare e alle figlie come si fa a ad aggiustare un rubinetto che perde.
Questo è per tutte le madri che girano la testa automaticamente quando sentono una vocina chiamare “mamma!” in mezzo a una folla, anche se sanno che i loro figli sono a casa – o anche via all’università…
Questo è per tutte le mamme che mandano i loro figli a scuola con il mal di pancia assicurandoli che una volta a scuola staranno meglio, per poi ricevere una chiamata dalla custode della scuola chiedendo di venirli a prendere. Subito.
Questa è per tutte le madri di quei ragazzi che prendono la strada sbagliata e non trovano il modo di comunicare con loro.
Questo è per tutte le matrigne che hanno cresciuto i figli di altre madri donando a loro tempo, attenzione e amore.. e che non vengono apprezzate !
Per tutte le madri che si mordono le labbra fino a farle sanguinare quando le loro quattordicenni si tingono i capelli di verde.
Per le madri delle vittime delle sparatorie nelle scuole, e per le madri di chi ha sparato.
Per le mamme dei sopravissuti, e le madri che guardano con orrore la TV abbracciando i loro figli che sono ritornati a casa sani e salvi.
Questo è per tutte le mamme che hanno insegnato ai loro figli di essere pacifisti ed ora pregano per i loro di tornare a casa dalla guerra sani e salvi.

Cos’è a fare una brava Madre ? La pazienza? La compassione? La determinazione?
La capacità di allattare, cucinare e ricucire un bottone di una camicia nello stesso momento?
O è nel loro cuore?
E’ il magone che senti quando vedi tuo figlio o figlia scomparire giù per la strada mentre va a scuola a piedi per la primissima volta?
Lo scatto che ti porta dal sonno al risveglio, dal letto alla sua cameretta alle 2 di notte per appoggiare una mano sul tuo bambino che dorme ?
Il panico che ti viene, anni dopo, sempre alle 2 di notte quando non vedi l’ora di sentire la chiave nella serratura e sapere che è tornato a casa sano e salvo?
O sentire il bisogno di correre da dovunque tu sia per abbracciare i tuoi figli quando senti che c’è stato un incidente, un incendio o un bimbo che è morto?

Le emozioni della maternità sono universali, le stesse sono per le giovani madri che barcollano fra i cambi di pannolini e mancanza di sonno… e le madri più mature che imparano a lasciarli andare.
Per le madri che lavorano e quelle che rimangono a casa. Per le madri single e quelle sposate. Madri con soldi, madri senza soldi.
Questo è per tutte voi. Per tutte noi.
Tenete duro. Alla fine possiamo fare solo del nostro meglio.
Dire a loro tutti i giorni che li amiamo. E pregare.

Quello che le mamme fanno - Libro
Soprattutto quando sembra non facciano niente

Voto medio su 1 recensioni: Buono

.Avete mai trascorso tutto il giorno ad accudire il vostro bambino piccolo o grande che sia, finendo per sentirvi come se non aveste “fatto nulla”? Faticate a sentirvi soddisfatte di quello che state facendo e dite a voi stesse che dovreste ottenere di più dal vostro tempo?

Forse è perché non riuscite a vedere quanto state già facendo.

Invece di predicare ciò che le madri dovrebbero fare, la psicoterapeuta Naomi Stadlen spiega ciò che esse fanno nel corso di ogni faticosa giornata di lavoro con il loro bambino. Attingendo da innumerevoli conversazioni con centinaia di madri per più di un decennio, l’autrice fornisce una visione lucida della vera esperienza della maternità e risponde alla domanda perenne comune nelle madri in tutto il mondo:

Che cosa ho fatto tutto il giorno?

Se sei una madre, e hai provato:

• che nessuno capisce ciò che fai tutto il giorno
• che sei sopraffatta dai tuoi sentimenti per il tuo bambino
• che sei sempre stanca
• che nessuno ti ha preparata per la maternità
• che ti senti incerta su cosa il tuo bambino sembra volere
• che sei collerica verso il tuo compagno

troverai “Quello che le mamme fanno” il libro più rassicurante che tu abbia mai letto.

Le emozioni nascono e crescono

emozioni-nascono-crescono

Snobbate per secoli, le emozioni sono state riabilitate dagli scienziati in tempi molto recenti.

Le emozioni hanno una cattiva reputazione. Sono ritenute un residuo irrazionale del comportamento animale, quasi non fossero degne della razionale ed evoluta mente umana. Questa convinzione è sbagliata. Le emozioni sono fondamentali per il funzionamento di una mente normale, e indispensabili per una mente “sociale”.
Le emozioni sono tutt’altro che irragionevoli, hanno anzi ragione intrinseca. Rispondono a un determinato
problema con soluzioni automatiche, preconfezionate, e in molti casi si tratta di risposte perfettamente razionali. E’ il
caso della paura di fronte a una minaccia, o dell’avvicinamento di fronte a un’opportunità. Ma le risposte automatiche, non importa quanto perfette siano, non possono essere adatte per tutte le situazioni.
E’ in questi casi che entrano in gioco il ragionamento e la ponderazione, allo scopo di personalizzare le risposte ad ogni tipo circostanza. In poche parole: le emozioni sono gli strumenti più antichi e automatici dell’agire razionale.
Qualche volta funzionano bene, altre volte no. Agli esseri umani, comunque, servono sia la ragione che le emozioni, perché questi due aspetti dell’attività cerebrale sono complementari.

Alla domanda se è possibile localizzare nel cervello un centro delle emozioni o più esatto dire che il cervello emotivo è diffuso in più zone, rispondo che non c’è un vero e proprio centro delle emozioni, allo stesso modo in cui
non c’è un unico centro per il linguaggio o per la memoria.
Ci sono più aree che cooperano nel percepire un’emozione, nell’eseguirla e nel prenderne coscienza.

L’amigdala, la corteccia prefrontale ventromediale e l’insulina anteriore, per esempio, sono aree coinvolte nel
percepire un’emozione. L’ipotalamo, i nuclei della base e il tegmento del tronco cerebrale contribuiscono ad
eseguirla, cioè a elaborare le risposte dell’organismo.
Tutte queste regioni lavorano in concerto, sono un sistema più che un unico centro isolato.
Spesso mi domandano se le emozioni differiscono nei due sessi, in realtà benché uomini e donne provino lo stesso tipo di emozioni, cambiano quelle con cui hanno più spesso a che fare e forse le loro intensità.
In generale, le donne sono più “portate” per le emozioni legate al ruolo di accadimento, mentre gli uomini
per quelle legate all’aggressività e alla ricerca. Ma a livello individuale queste differenze possono non comparire del tutto.

IL SORRISO DIVENTA CONSAPEVOLE Già A TRE MESI DI VITA, E SERVE PER TENERE LA MAMMA VICINO A SE’

Nasciamo emotivi: il linguaggio dei sentimenti è il primo che impariamo ad esprimere.

Fin dalle prime fasi del suo sviluppo, infatti, l’essere umano è in grado di partecipare attivamente alla comunicazione
non verbale con altre persone.
Secondo gli studi più recenti, già nel feto sono presenti stati di benessere e di sofferenza neurologica, oltre alla
capacità, a partire circa dal quarto mese di gestazione, di ascoltare la voce della madre e del padre e di riconoscerle
poi a poche ore dalla nascita, mostrando una preferenza rispetto ad altre. Nei primi istanti di vita, infatti,
il neonato possiede già un ricco corredo di espressioni emotive differenziate, in grado di comunicare informazioni
all’adulto. Ma non si tratta ancora di emozioni vere e proprie.

LEGAME MADRE-BAMBINO

Tutti gli studiosi sono d’accordo su un punto: la competenza emotiva di una persona si forma a partire dalle prime interazioni con la madre. I precoci “dialoghi” tra mamme e neonato, fatti di sguardi, espressioni facciali e vocalizzazioni, permettono al bambino di passare in breve tempo dall’iniziale attività riflessiva al segnale sociale di risposta a uno stimolo. E’ così che l’espressione emotiva diventa consapevole. Ne è un chiaro esempio il sorriso: nelle prime settimane di vita è legato al sistema neurofisiologico ed è presente sia durante il sonno sia nella veglia, mentre solo dopo la sesta settimana di vita e fino a tre mesi diviene il tipo sociale, cioè provocato da stimoli esterni come il volto, la voce e lo sguardo di un adulto.
Dopo il terzo mese, il piccolo è già in grado di utilizzare il sorriso in modo strumentale, per esempio per catturare
l’attenzione della madre.
Dalle dieci settimane di vita, inoltre, il neonato sa modificare il proprio comportamento in risposta alle diverse
espressioni del volto del genitore. E verso la fine del primo anno, le manifestazioni emotive della madre
influenzano e possono regolare lo stato emotivo e il comportamento del bambino….

Come ti guardo io…..
Attraverso la gestione delle emozioni, infatti, ognuno di noi comincia ad apprendere. Non a caso, le espressioni
facciali delle madri sono strettamente connesse a quelle dei loro piccoli. E ne influenzano lo stato emotivo.
E’ stato provato da numerosi studi: quando il piccolo la mamma da vicino e lei assume un’espressione serena
in volto, facilmente lui sorride, inarca le sopracciglia, schiude la bocca e muove la lingua. Tutti segnali di benessere.
Se lei invece resta inespressiva, distaccata, quasi sicuramente il bebè aggrotta le sopracciglia e corruga
la fronte mostrando smarrimento, fino ad arrivare a un pianto d’angoscia.
Questi scambi espressivi tra mamma e figlio si verificano già intorno ai due mesi di vita e costituiscono un vero e
proprio “ dialogo “ che getta le basi della sincronizzazione con l’interlocutore che svilupperà in seguito.

Ansia contagiosa
La capacità di dialogare con la madre, di segnalare la fame, il freddo e la paura attraverso il pianto sono attive
sin dalla nascita, perché funzionali alla sopravvivenza: secondo alcuni studi hanno il compito evolutivo di
modificare il comportamento all’adulto e di indurlo ad accudire il “cucciolo”. E funzionano.

Segnali di pericolo
L’espressione del volto della mamma serve anche da segnale di pericolo o di fiducia, ed insegna al bambino
quando e di cosa avere paura. Oltre alla paura, tra i due mesi e un anno si esprimono chiaramente anche la rabbia,
la gioia, la tristezza e la collera.

Verso i 15-18 mesi compaiono le emozioni più complesse come la vergogna, l’imbarazzo, il senso di colpa, il
disprezzo e gli stati emotivi misti che caratterizzeranno, poi, il modo di sentire dell’età adolescenziale e adulta. In
quest’epoca, la competenza emotiva si arricchisce anche della capacità di comprendere lo stato emotivo altrui
e infine (intorno ai due anni) il bambino acquisisce la possibilità di ferire intenzionalmente l’altro.
Di più: a partire da quest’età, i bambini sono in grado di mascherare le proprie emozioni. Per esempio, se ricevono
un regalo non gradito sanno già nascondere la delusione, modificando l’espressione del viso.

Il perché delle emozioni che proviamo. Prefazione di Deepak Chopra

Prezzo € 9,60
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Per quale motivo sentiamo quel che sentiamo? In che modo i pensieri influiscono sulla nostra salute fisica? Corpo e mente sono separati oppure funzionano in sintonia? In questo libro fondamentale la neuroscienziata Candace Pert fornisce risposte sorprendenti e risolutive a questi interrogativi che tengono impegnati da secoli scienziati e filosofi.

Accertando l’esistenza delle basi bio-molecolari delle nostre emozioni e illustrando le sue scoperte in modo chiaro e accessibile, l’autrice ci consente di comprendere noi stessi, le nostre sensazioni e i complessi rapporti tra mente e corpo. «Un’interessante sintesi del rapporto tra corpo, mente e spirito, con un approccio scientifico e spirituale al tempo stesso.»

Ama, ma prima impara ad amare te stesso

amore-amarsi

Si parla tanto di amore, componente molto importante per vivere una vita in armonia e felicità, ma che purtroppo molto spesso non è presente in noi e nella nostra vita.

Ci sono tanti surrogati nei nostri atteggiamenti ed emozioni che vengono etichettati “amore“, ma fondamentalmente sentiamo che è una bugia, perchè alcune volte, in un attimo di consapevolezza, abbiamo preso coscienza del fatto che forse non sappiamo amare, oppure che non sappiamo cosa sia l’amore.

In quei momenti ci siamo forse sentiti un po’ aridi e sterili, e ci ha preso lo sconforto perché non siamo più in grado di sentire l’amore dentro di noi a meno che non siano presenti determinate sensazioni ed emozioni.

La delusione è forte, ma è solo nostra o ci portiamo dentro memorie di questa incapacità di amare già dalla nostra nascita?

In effetti una persona per amarne un’altra, deve avere qualcosa da dare: cioè l’amore che dà a se stessa come coscienza e come corpo fisico. Deve esserci l’accettazione dei suoi lati brutti come di quelli belli, deve osservarsi senza scappare o riempirsi di pensieri negativi sulle sue incapacità e bruttezze fisiche, e cercare di capire “i perché” migliorandosi: questo è AMORE.

E’ rispetto verso il nostro corpo, la nostra coscienza, ed è lo stesso rispetto che deve essere dato alla persona che amiamo. Quando questo non è presente, ci nutriamo del flusso d’amore che ci dà il nostro partner. Richiediamo a lui di amarci così come siamo, perché non siamo capaci di amarci noi. E quando lui non rispecchia le nostre aspettative, cioè non colma con il suo amore la nostra carenza d’amore, che POSSIAMO RIEMPIRE SOLO NOI, ecco che cominciano i litigi e le incomprensioni, le ripicche, cattiverie, solo perché ci sentiamo trascurati.

Ci nascondiamo dietro atteggiamenti da bambino, facendo la vittima e colpevolizzandolo di non amarci a sufficienza e di non farci sentire così importanti. Ma se anche per lui fosse la stessa cosa?

Forse sperava che anche noi potessimo colmare tutto ciò che non è capace di amare di se stesso perché non si accetta. Da qui rapporti di coppia sempre più distruttivi che sfociano in continui scontri verbali o in fatti per incolparsi di non essere stati amati a sufficienza.

Un continuare a richiedere ad altri quello che ognuno dovrebbe imparare a dare a se stesso.

Molte coppie a questo punto, a volte ancora prima di arrivare a “scannarsi mancandosi di rispetto reciproco”, scaricano la loro incapacità di accettarsi, e quindi di amare se stessi ed il loro corpo, facendo un figlio.

Un figlio che viene concepito da due persone che non si amano per se stesse e pretendono che qualcun altro lo faccia al loro posto, una memoria che viene trasmessa al feto. Molte mamme poi nei loro nove mesi di gravidanza, non vivono molto bene il vedersi trasformare il corpo, sentire che qualcosa sta crescendo dentro di loro e tutti i loro stati d’animo vengono registrati dalla mente cellulare del feto. Un imprinting che rimarrà come un marchio, perché si ritroverà come una malattia ereditata fin dalla sua nascita: la mancanza d’amore dei suoi genitori per loro stessi e il loro corpo, che diventerà la sua.

Ci sono anche molte madri che si amano di più e il bambino sarà più equilibrato e risulterà per lui spontaneo e naturale amarsi e amare gli altri così come ama se stesso.

Tornando a quel bambino sfortunato nato da genitori che non si amano, si ritroverà fin dalla sua nascita a non poter sviluppare questo amore nel tempo, per se stesso e per il suo corpo, perché al suo posto troverà una sterilità, aridità che gli impedirà di riuscire ad accettarsi. Nessuno nasce perfetto. E’ quindi normale non piacersi in certe situazioni oppure non apprezzare qualcosa del nostro corpo, ma da qui a distruggersi con odio, con pensieri negativi, degradarsi….

I genitori hanno sul figlio una grossa aspettativa a livello INCONSCIO che è quella di essere amati e accettati, con lui devono colmare il disequilibrio energetico che hanno con il loro corpo, la loro coscienza e la mente: il figlio, sangue del loro sangue, non può tradirli.

La madre vivendo con il figlio un rapporto di simbiosi nella gravidanza, con l’allattamento si sente più autorizzata a ricevere in cambio l’amore, anche per la sofferenza subita nel parto.

All’inizio i genitori riversano nel figlio il loro amore, come un flusso che lo nutre, ma via via che il figlio non rispecchia le aspettative, quando volge i suoi interessi verso amici, ragazze, ecc.. ecco che si arrabbiano, covano i risentimenti, le sgridate perché perde tempo con gli amici e non studia, oppure non lavora, non aiuta in casa. Tante situazioni che magari nella realtà risultano vere ma alla base c’è la delusione da parte di uno o di entrambi i genitori perché si rendono conto che anche il sangue del loro sangue non riempie il loro vuoto d’amore. Così vivono le scelte del figlio come un tradimento e intanto si instaura un profondo risentimento verso di lui: il risentimento al posto dell’amore che gli davano quando ancora speravano in lui.

E quante volte il figlio mette di fronte ai genitori, come se fosse uno specchio, quello che sono loro?

Il figlio vivrà questa interruzione del flusso d’amore dei genitori con forti ribellioni, che potranno portarlo a fare cose che lo degradano moralmente oppure si sentirà non più voluto, rifiutato e dal dolore si lascerà andare all’apatia, alla depressione. Nella loro cecità i genitori non si rendono conto che il problema maggiore dipende da loro e che il figlio è il frutto della loro mancanza di amore verso se stessi, e così daranno la colpa al figlio di sbagliare, di non ascoltare, …di non amarli.

Così la madre o il padre o entrambi, quando il figlio va via di casa lo vivranno come il rifiuto del figlio di amarli. Questo però avviene dentro la loro testa, perché la loro mente gli ha alterato la verità, una verità che non vogliono accettare di vedere consapevolmente altrimenti dovrebbero accettare di non saper amare, di aver fallito. Così ritroviamo poi la madre, per esempio, che vivrà l’allontanamento del figlio come una perdita molto dolorosa e si chiuderà in se stessa, anche se in apparenza continua a fare le stesse cose. Non è disposta a guardarsi, né a mettersi in discussione, ma il continuo dolore della perdita del figlio la fa stare male ed è qui allora che deve cercare qualcosa o qualcuno che le dia amore e soprattutto che la faccia stare tranquilla, senza la paura di essere tradita. E cosa c’è di meglio che accudire delle piante?

I vegetali, a differenza degli animali, non si muovono, non possono graffiarla, abbaiarle o miagolarle. Non possono obbligarla a preparare loro da mangiare, pulire la sabbietta, portarli fuori a fare i loro bisogni. Le piante non richiedono molta responsabilità se non quella di annaffiarli e piccole altre cure.

Così la madre riversa il suo amore verso le piante che cura e che le rispondono diventando rigogliose e belle, riflettendo così l’amore che ricevono. Non ha paura di avvicinarsi a loro perché non possono farla soffrire e soprattutto perché non le fanno da specchio. Non le fanno vedere la sua incapacità di amarsi che ha prodotto in lei una bruttezza tale che ha influito su come è e come vive.

Questo flusso d’amore creato dalla madre verso le piante l’aiuterà a riequilibrare una parte di sé arida, e la farà sentire più contenta e rilassata nel vedere che crescono, che l’accettano per quello che è, a differenza del figlio, del marito e di sé.

Mentre nel caso in cui la madre prova dolore per la perdita del figlio e non l’accetta, cercherà di ricreare la situazione di quando il figlio era piccolo e lei si sentiva amata da lui. Per ricreare questa situazione si rivolgerà ad uno o più animali. L’animale non può tradirla perché dedica la sua vita ai suoi umori, ai suoi capricci, alla sua voglia di giocare con lui. E’ dipendente da lei per il mangiare, per i suoi bisogni, per la sua sopravvivenza , così come era il figlio quando era piccolo e c’era lei che pensava a lui. L’animale instaurerà un legame fortissimo, aiutando la madre a ripristinare il flusso d’amore che aveva interrotto con il figlio, facendole magari passare la depressione in cui era caduta quando era andato via di casa.

Il flusso d’amore viene ricreato, ma con l’animale che diventa il figlio che però adesso l’ama e vive solo per lei.

La madre si sente amata e accettata per quello che è dall’animale/figlio che le dimostra in ogni momento con sguardi, coccole, linguate, abbaiate, fusa che l’ama e che è tutto per lei, riempiendo ogni giorno quella sua parte sterile e non amata da se stessa. Ogni giorno l’animale le dà la speranza che l’amore c’è, esiste, e questo comincia a ricrearle l’equilibrio che le mancava.

Le piante e gli animali sono i nostri amici, le nostre speranze, laddove abbiamo fallito miseramente con la mancanza d’amore verso noi stessi e gli altri. Noi possiamo dedicarci a loro per cercare di guarirci dai mali che possono essere: il figlio che non ama i genitori, il partner che non ci ama, il lavoro dove non ci sentiamo accettati, ecc..

Meno male che ci sono persone che sanno accettarsi per quello che sono e che cercano ogni giorno di migliorarsi, non sono bloccate nell’egoismo così come sono bloccate le persone che non si amano. Queste persone, oltre ad amare i figli per quello che sono e rispettare le loro idee, sono capaci di amare anche gli animali e le piante.

Quindi, per concludere, sforziamoci di guardare le nostre bruttezze e cerchiamo di renderle belle, non con le illusioni dentro la nostra testa, ma nei fatti della vita di ogni giorno. Accettarsi è il primo passo da fare per portarci alla guarigione, al rispetto e all’amore. Solo allora saremo sicuri che veramente potremo amare qualcuno, perché AVREMO QUALCOSA DA DARGLI:

LO STESSO AMORE CHE DIAMO A NOI STESSI.

di Fiorella Rustici

Da http://www.coscienzasalute.it


Louise L. Hay

Ama Te Stesso

Una guida pratica per capirsi e accettarsi, per vivere in armonia con se stessi e con gli altri, e riempire d’amore la propria vita.

Compralo su Macrolibrarsi

Solo se amiamo, accettiamo e approviamo realmente noi stessi, così come siamo, tutto andrà bene nella nostra vita. L’approvazione e l’accettazione di se stessi, qui e ora, sono le chiavi per arrivare a cambiamenti positivi in ogni aspetto della nostra vita.

Questo principio fondamentale costituisce il motivo ispiratore di Ama te stesso, il tema che ritorna, insistente e persuasivo in quest’opera originale, concepita da Louise Hay per offrire tutti gli strumenti utili per applicare concretamente nel quotidiano la filosofia del pensiero positivo.
Mediante gli esercizi di visualizzazione e i questionari, grazie all’uso ripetuto di affermazioni che infondono convinzioni positive, oltre che attraverso il lavoro allo specchio e l’attento ascolto del nostro corpo, che riflette i nostri pensieri e il nostro stato interiore, possiamo liberarci dagli schemi mentali negativi e cambiare la nostra vita.