E’ tempo di andare – Kim Sena

“Non ti sto lasciando, Mia” disse Lucy.
“Sarò sempre lì ogni volta che chiuderai gli occhi.
Se ci ricordiamo l’una dell’altra
SAREMO SEMPRE INSIEME.”

È tempo di andare sussurra la civetta a Mia. Lei solleva lo sguardo dal libro che stava leggendo e lo ferma appena sotto a quello della civetta che tendendo il collo, vorrebbe incontrarlo, per dare conforto. O più fermezza alle sue parole. Si ferma lo sguardo di Mia, mentre la bambina appoggia il capo al tronco della quercia.

È tempo di andare sì, ma perché? Mia è incredula, perplessa.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto salutare la sua amica ma non riesce a capacitarsi dell’ora, dell’adesso, del tornare all’improvviso da dove si è arrivati. Tornano allora sul luogo del loro primo incontro, ripercorrono i ricordi della loro vita assieme.
Quando Mia era piccola, aveva trovato la civetta sotto la quercia: era caduta dal nido, aveva un’ala ferita. Così l’aveva portata a casa e l’aveva accudita e curata. Da quel momento avevano trascorso insieme ogni giornata. La loro amicizia era intensa e piena di tenerezza, per la civetta, però, a un certo punto è arrivato il momento di andare…


Il tramonto tinge tutto di un arancio morbido che inonda anche i petali delle peonie che regali e tuttavia lievi sostengono Mia, curano il suo dolore rendendo il ricordo immortale, mentre bambina e civetta si fondono l’una nel volto dell’altra, l’una nei pensieri dell’altra.

La luna è ormai alta in cielo, Mia e Lucy socchiudono gli occhi e immaginano.
Per Lucy è tempo di andare. Un abbraccio in silenzio, il nastro rosso sciolto, e tenui fiori d’ortensia a far da corolla al distacco.

“Ho sempre saputo che un giorno
avrei dovuto lasciarti andare”

disse Mia, e alzó lo sguardo
verso le nuvole che correvano.

Una storia che aiuta tutti, piccoli e grandi indistintamente, a trovare un modo di affrontare le inevitabili separazioni, e dar loro un senso.
Che tiene insieme chi resta e chi va.


Lasciarsi è sempre doloroso: l’autrice nell’albo cerca la strada per aiutare piccoli e grandi a vivere le separazioni e a dare loro un senso, nella certezza che i sentimenti autentici creano legami che la distanza non può intaccare.


A tessere il filo delle relazioni sono i ricordi, la certezza di poterli rievocare in qualunque momento, e di trovarvi rifugio quando serve. Entrambe infatti si promettono di guardare la luna e dedicarsi un pensiero ogni sera, sapendo che è ricambiato.

E’ tempo di andare è un splendido e delicatissimo libro che parla di perdita, di separazione, di mancanza con una dolcezza che solo lei, Kim Sena, può mostrarci con la sua penna e la sua matita. Grazie ad Orecchio Acerbo, che continua a diffondere meraviglie di questo valore!

Il tocco delicatissimo, onirico, delle illustrazioni di Kim Sena mette in questo libro anche tutto ciò che le illustrazioni non riescono a dire. L’illustratrice, nata in Corea del Sud, è da sempre innamorata della natura: lo si legge nei suoi disegni ricchissimi di particolari, in storie, come questa, che trasmettono a lettori di ogni età (non è soltanto un libro per bambini) anche il rispetto e la cura per l’ambiente, invitano alla cura delle creature più fragili e più piccole.

Ancora una volta, con le sue illustrazioni a matita raggiunge il contesto impalpabile del sogno. La poesia surreale dell’amicizia, della forza, del ricordo.

E’ tempo di andare, è metafora di vita

Puoi acquistare il LIBRO QUI:

Camminando si apprende la vita

camminando-si-apprende-la-vita

Si possono percorrere milioni di
chilometri in una sola vita
senza mai scalfire la superficie dei
luoghi né imparare nulla
dalle genti appena sfiorate.

Il senso del viaggio
sta nel fermarsi ad ascoltare
chiunque abbia una storia
da raccontare.

Camminando si apprende la vita
camminando si conoscono le cose
camminando si sanano le ferite
del giorno prima.
Cammina guardando una stella
ascoltando una voce
seguendo le orme di altri passi.
Cammina cercando la vita
curando le ferite lasciate dai dolori.

Niente può cancellare il ricordo del
cammino percorso.

Rubén Blades

Alzati e Cammina - Libro
Sulla strada della viandanza

Un libro destinato a chi è nel limbo.

A chi è insoddisfatto in famiglia, o sul lavoro, chi ha perso momentaneamente la speranza di risalire la china, chi, in definitiva, per una ragone o per l’altra, cerca la propria strada e sa che è giunto il momento di partire.

“Alzati e cammina” propone degli esercizi e delle suggestioni per trovarsi pronti in quel momento:disfarsi di oggetti che non possono trovare spazio nello zaino, disfarsi delle abitudini superflue, del lavoro in cui non ci sentiamo realizzati, delle persone che ci trasciniamo accanto solo per paura di rimanere soli, camminare sotto la pioggia con serenità, camminare per andare a trovare una persona cara che non vediamo da tempo, aprire la porta di casa all’altro senza timore, perché non esiste viandante senza ospitaliere, e viceversa.

E’ un’opera che esorta alla leggerezza, l’unica condizione che permette di stare a piedi uniti nel cammino, reggendo il peso delle domande che vertono sui nostri giorni, quelli presenti e quelli che verranno.

La paura

Io ti ricordo semplicemente chi sei e quale sia il tuo vero potenziale: essere in grado di portare la luce nelle tenebre. Tu sei un messaggero della luce, un portatore di buone notizie al mondo.
Molte persone sono terrorizzate dalle ‘energie negative’ e vogliono sapere come possano proteggersi dai poteri del male, ad esempio, dalle tenebre.
E’ semplice da ricordare: le tenebre sono dove la luce non splende. Dove c’è la paura, c’è una proiezione delle tenebre: è ciò porta via la tua luce! Quando il tuo cuore è aperto, tu sei la luce nel buio.
La cosa paradossale è che invece di essere preoccupati, dovremmo imparare ad amare le tenebre. Far brillare la luce nelle tenebre con il nostro amore significa che non ci saranno più tenebre. Dove la paura svanisce, le tenebre svaniscono. Diamo potere a ciò che ci fa paura. I nostri poteri creativi sono ancora più potenti quando creiamo un’immagine vivida e colorata davanti agli occhi della nostra mente. Maggior energia mettiamo in questa immagine, più forte sarà il messaggio che verrà spedito e più energia ci metterà l’universo per mandarci un aiuto per realizzarla!
Quindi, l’intensità della nostra immaginazione, le volte in cui pensiamo a quell’immagine, creano un campo di energia capace di manifestare qualcosa nella nostra vita. Questa è quella che io chiamo la prima legge della manifestazione.
Quando siamo preoccupati da qualcosa, creiamo un’immagine di ciò che non vogliamo.
Per esempio: pensiamo all’idea di non volere l’artrite alle mani. La prima cosa che ci capita è di creare un’immagine delle mani con l’artrite. Più la cosa ci spaventa, più intensa e vivida diventerà quell’immagine e nel nostro cervello si scatena una fortissima attività cerebrale: quindi il rischio che ci colpisca l’artrite sarà maggiore. Più ci penseremo e maggiore sarà il rischio.

La prima Legge della manifestazione è:
Intensità x Frequenza = Maggiori Rischi

La ragione per cui molte persone non raggiungono niente di più è perché loro stesse non credono di essere capaci di ottenere più di ciò che hanno. Il nostro star bene la maggior parte delle volte è bloccato dalle nostre credenze. Esempi di credenze potrebbero essere: non ce lo meritiamo, non siamo abbastanza buoni, abbastanza intelligenti, abbastanza forti. Ci sono molte varianti a cui potremmo pensare.

Quindi la seconda Legge della manifestazione è:

Più credi di non essere all’altezza (o non abbastanza bravo, o abbastanza intelligente, o abbastanza carino, o con abbastanza talento) per raggiungere ciò che vuoi, più lontano andrai da quello che desideri.

Ciò che ti frena di più
dall’avere ciò che vuoi,
sei tu!!!

La paura di qualcosa ci porta a non credere in noi stessi amplificando le tenebre nelle quali viviamo. Dobbiamo affrontare le nostre paure per poter lasciar splendere la nostra luce nel buio. La luce illumina le vostre paure finché queste non verranno trasformate in amore. Come fare ciò? Non respingere le tue paure, ma avvicinati a loro con amore.
Senti la paura, cerca di sentire dove e come la percepisci, infondi molta luce e molto amore in quell’area! Continua a farlo fino a quando ti sentirai ‘comodo’ pensando a quelle sensazioni ‘paurose’.
Fai questo ogni volta che ti sentirai spaventato o impaurito. Vai incontro alle tue paure, non allontanarti da queste. La paura è una ferita, un ricordo che ha bisogno di essere curato. La paura è sicuramente una parte della nostra ombra, la miglior cosa da fare per guarirla è usare la luce (amore).

di Roy Martina

Supera i Tuoi Limiti - DVD

Da non perdere

Roy Martina in questo seminario ti seguirà passo dopo passo nella tenace realizzazione dei tuoi veri propositi. Vuoi che nella tua vita fluiscano più energia, più gioia ed entusiasmo?

Roy Martina ti insegnerà come ottenere queste benedizioni a patto di imparare a dialogare con il tuo subconscio, usando la sua enorme forza psichica a tuo vantaggio. Potrai così cancellare tutti i segni di paura, tristezza e apatia e mantenere la concentrazione su nuovi obiettivi professionali e personali.

Attraverso una strategia testata, mirata ed efficace, ricca di esercizi, tecniche innovative, affermazioni, visualizzazioni, potrai rompere gli schemi negativi che si frappongono tra te e il successo, ancorandoti ad una certezza che non ha prezzo: il riconoscimento, l’amore e la gratificazione sono già dentro di te. Questo video ti condurrà gradualmente ad ottenere i cambiamenti che desideri, seguendo la via della gioia e del piacere!

Risveglia la Nuova Vita che è in Te!

Una volta ancora ti stai avvicinando alla fine di un calendario. Se la fine è un punto di arrivo e di partenza nel contempo, nel periodo precedente tutto ciò che è stato vissuto – nella sofferenza, nella fatica e anche nella gioia – non ti sta solo alle spalle ma anche sulle spalle.

Avvicinandoti a questa tappa non fare consuntivi e non stendere nuovi progetti, ma lascia andare il vecchio creando spazio per il nuovo in arrivo. Il nuovo non può accomodarsi se in te non trova spazio libero per sé e questo spazio non lo crei ammassando in un angolo ciò che più non serve, con l’idea di conservarlo per un ipotetico bisogno futuro. Nel futuro non c’è bisogno del passato, e non è futuro il domani generato dal passato.

Da qui, creati il tuo calendario, e invece di scartare cioccolatini e caramelle, di recitare filastrocche e pensierini, ogni giorno svuota la tua tasca di un dolore, di un ricordo, di un pensiero fisso e tormentoso, di un rancore o di un rimorso, di un rimpianto o di un’illusione.

Lascia andare anche qualche gioia passata, perché le gioie passate ti impediscono di gustare quelle diverse gioie che ti attendono.

Svuotati del desiderio e delle aspettative che si appoggiano sul fallimento e la frustrazione, che ti legano ancor più stretta a qualcosa che non è e non sarà.

Chiudi i conti. Paga un debito di riconoscenza, di affetto, di amore. Azzera il credito di un torto, di un’incomprensione, di un’offesa.

Togli e togli… non sentirti persa per quel vuoto temporaneo: è pieno di potenziali che attendono un campo dissodato, senza sassi e vecchi ceppi, per affondare le radici e germinare.

Non fare ora una lista di ciò che pensi non serva: non lo puoi sapere. Ogni giorno uscirà dalla tua tasca un pacchettino. Riconoscilo e liberalo dalla confezione dell’apparenza. Sorprenditi: mai avresti pensato che fosse proprio quella cosa ad essere un inutile peso. Sorridi: com’è facile e dolce lasciare ciò che chiede di essere lasciato.

Buon lavoro.


Il corso di Louise Hay per ripulire la mente da convinzioni, schemi, pensieri e guarire la tua vta

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Dettagli

Questo dvd è un vero e proprio laboratorio dove creare e affinare gli strumenti per migliorare la propria vita.

Con poche, semplici mosse sperimentate e perfezionate da Louise Hay, eserciterete un effetto benefico sulla vostra quotidianità ripulendo la mente da convinzioni limitanti, schemi che imbrigliano l’istinto e pensieri negativi.

Mettere in pratica questi principi significa vivere ogni istante con un approccio positivo che guarisce da malesseri e insicurezze, risvegliando la nuova vita che è in voi e che aspetta solo di manifestarsi.

Louise L. Hay, vi insegna come aumentare l’autostima e come stimolare l’amore e la gioia nella vostra vita.

Facendo gli esercizi proposti durante la visione

, ripetendo le frasi e adattando a voi stessi il nuovo modo di pensare suggerito dal corso,

imparate ad amarvi veramente e completamente.

Le tematiche principali sono quattro:

  • credenze e convinzioni;
  • consapevolezza;
  • cambiamento;
  • amare se stessi.

A cui fanno da corollario gli esercizi e le riflessioni che Louise suggerisce con domande e approfondimenti. La visione permette di interagire direttamente con Louise proprio come durante una consulenza privata.

Nulla è frutto del caso

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Non possiamo parlare di metamedicina senza tener conto della legge di responsabilità, giacché essa costituisce la condizione di base per una vera guarigione.
Quando studiavo microbiologia, interrogavo i miei professori per sapere dove provenissero i microbi (batteri, virus, parassiti, eccetera), e mi rispondevano che questi agenti patogeni provenivano da contaminazioni. Accettavo la cosa continuando però a chiedermi dove la prima persona avesse potuto contrarre il microbo. Mi adeguai, paga della massa di conoscenze che esploravo nel mondo affascinante dei microrganismi, ma i miei interrogativi erano latenti; quando cominciai a lavorare in ospedale, ricominciai a chiedermi perché il tale si ripresentasse di continuo con infezioni urinarie, e la tal altra con vaginiti a ripetizione.
Ricordo in particolare un uomo anziano, con la tubercolosi, che praticamente non usciva mai di casa; i pochi visitatori che riceveva non avevano il bacillo di Koch a cui si attribuiva la sua malattia: dove mai avevano potuto contrarre quell’infezione?
Intuitivamente, sapevo che gli esseri umani possiedono la capacità di sviluppare la malattia sia attirando l’agente infettivo mediante la frequenza vibratoria, sia destabilizzando le molecole delle proprie cellule, consentendo in tal modo lo sviluppo di una patologia. Ma quando azzardavo a proporre questa ipotesi, tutti mi deridevano.

Il Mahatma Gandhi diceva: «L’errore non diventa verità solo perché si propaga e si moltiplica. E la verità non diventa errore solo perché nessuno la vede».
Assumere la responsabilità di ciò che viviamo significa riconoscere e accettare che i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri atteggiamenti – proprio come le lezioni che bisogna imparare nella nostra evoluzione – abbiano dato luogo sia alle situazioni felici e infelici in cui ci siamo imbattuti sia alle difficoltà o alle gioie che viviamo attualmente.

Quando nei seminari e nelle conferenze tocco questo tasto, spesso la gente ribatte: «Sarei io che mi sono attirato un padre violento?», «Se un bambino nasce malato, non sarà mica colpa sua?». «Se mio marito ha perso il lavoro, è perché l’azienda in cui lavorava ha chiuso: non ha nulla a che vedere con lui», «Come a dire che, se ho mal di schiena, sarebbe colpa mia!», «Non pensavo che uno potesse fabbricarsi una malattia!», «E’ davvero ingiusto. Mio figlio, che no ha fatto male a nessuno, sarà handicappato tutta la vita, mentre ci sono dei criminali che stanno benissimo».
Il mio secondo padre diceva: «C’è un’unica giustizia sulla terra, ed è la morte».
Tutte queste riflessioni traducono un’incomprensione della legge fondamentale della responsabilità, molto spesso confusa con il senso di colpa: è questa confusione a renderla difficile da accettare agli occhi di molte persone, che la leggono così: «Se questa situazione o questa malattia me la sono creata io, allora sarebbe colpa mia se sto male».
Questa chiave di lettura è sbagliata, ed è – per molti di noi – dovuta al tipo di educazione religiosa in cui siamo cresciuti. La cultura giudaico-cristiana ci ha insegnato ad affidarci a un potere superiore, Dio, e che se agiamo secondo i suoi comandamenti e pratichiamo azioni meritorie, veniamo ricompensati in questa stessa vita o dopo la morte; se invece non obbediamo ai suoi comandamenti o a quelli della Chiesa ci attende la punizione! Con questa base alla prima difficoltà inattesa e inspiegabile automaticamente ci viene da pensare: «Cos’ho fatto di male perché debba capitare questo proprio a me?» Oppure cerchiamo un responsabile esterno, ci dev’essere per forza un «colpevole».

Così, quando una situazione ci fa soffrire, abbiamo preso l’abitudine di colpevolizzarci (credendolo di essercela meritata) oppure ne accusiamo altri, o addirittura Dio.
Quando dico che essere responsabile della situazione significa che mi riconosco quale creatore di ciò che vivo, non intendo insinuare che ho creato deliberatamente una situazione gradevole o sgradevole, ma che bisogna accettare e riconoscere che i nostri pensieri, il nostro sentire, i nostri atteggiamenti o le lezioni che è necessario integrare nella nostra evoluzione, hanno generato le situazioni felici o infelici che ora stiamo vivendo. La legge della responsabilità, di conseguenza, non ha nulla a che fare con il merito o la punizione, con la fortuna o la sfortuna, con la giustizia o l’ingiustizia, oppure con la colpa: riguarda solo il concatenarsi delle cause e degli effetti.
Non siamo forse liberi di accettare una credenza o rifiutarla? Di scegliere le parole di cui ci serviamo? Di interpretare una parola o una situazione?
Non siamo forse liberi di amare e di odiare? Di accusare o comprendere? Di dire del male o del bene?
Non siamo forse liberi di guardare la verità in faccia o di mentire a noi stessi? Di reagire o di agire? Di alimentare la paura o di avere fiducia?
Si, siamo liberi dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre credenze, dei nostri atteggiamenti, delle nostre scelte.
Sebbene abbiamo, tutti quanti, questa libertà intera, non possiamo sfuggire alle conseguenze di ciò che scegliamo di dire, fare, credere.

Forse sei pronto a rinascere il peso delle tue scelte e delle loro conseguenze, ma forse penserai: «Se una persona è al volante e un’altra la investe in pieno, non avrà mica scelto lei di avere un incidente?». No, certamente. E tuttavia, che cosa è accaduto prima dell’incidente perché questa persona si trovi in quel contesto?
(…)

«Nulla è frutto del caso»

Questa verità fondamentale è a volte manipolata, per esempio da certi leader che, per far leva sui loro adepti, dicono: «Il caso non esiste, e se sei venuto qui è perché hai bisogno di noi». E’ giusto che non esiste il caso, e tuttavia l’interpretazione che si può dare di questa affermazione non è necessariamente quella giusta. Può darsi che una persona si trovi in un gruppo per imparare a dire di no oppure per impiegare il proprio discernimento.
Lo stesso Buddha diceva: «Non credete a me, verificate, sperimentate, e quando saprete da voi stessi che qualcosa è favorevole, allora seguitelo; e quando saprete da voi stessi che qualcosa non vi è favorevole, allora rinunciatevi».

Un senso di colpa può essere la causa di incidenti, problemi e oltre forme di autopunizioni? Osserva, e trai le tue conclusioni. Puoi verificarlo, se hai già avuto un incidente, che cosa stavi vivendo prima di esso? Un incidente a un piede o alle gambe può essere facilmente collegato a un senso di colpa, per il fatto di precedere qualcuno che invece fa da freno, magari perché a sua volta si rifiuta di avanzare. Un incidente a un dito può essere collegato a un certo perfezionismo; ci si sentire colpevoli per aver eseguito un lavoro troppo in fretta o senza troppa cura.
La simbologia del corpo può aiutarci a stabilire questo collegamento fra un incidente e ciò di cui si sentiamo colpevoli.

Claudia Rainville, tratto dal libro «Ogni sintomo è un messaggio»

La guarigione a portata di mano

Prezzo € 24,00
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Dieci anni di lavoro nel campo della microbiologia hanno fornito a Claudia Rainville il rigore, il metodo d’indagine e di analisi necessari per questa ricerca, durata a sua volta diciannove anni. L’esperienza personale della malattia (cancro, mal di schiena cronico, depressione nervosa e una quantità di operazioni) e l’autoguarigione completa che ne è seguita hanno condotto la Rainville a testare con altri la sua convinzione: VI È UNA CORRELAZIONE fra sintomo e causa profonda, confermata dal vissuto personale di migliaia di uomini e donne che si sono rivolti a Claudia Rainville. Se siete fra coloro che s’interrogano sul senso profondo della loro malattia, questo libro potrebbe condurvi alle cause profonde e dare il via ad un vero processo di autoguarigione. Leggere i sintomi come messaggi del corpo: una chiave semplice, fondata su un’enorme casistica, per comprendere cosa c’è dietro una malattia e guarire.

La metamedicina va al di là della semplice cancellazione del dolore o della scomparsa dei sintomi, incentrandosi sulla ricerca del fattore responsabile dei disturbi.

Ogni sintomo è un messaggio è un grande best seller di Macrolibrarsi ed è considerato dalle persone che lo hanno letto una bibbia della salute.

Gesti e parole

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Inseparabili il gesto e la parola

Le ricerche dimostrano che quando archiviamo il nome di un oggetto e di cose  concrete, attiviamo sì l’area linguistica, ma anche quella motoria

Marco Pacori

CHI non conosce uno di quegli individui che possiedono una gamma di espressioni che va dal cipiglio allo sguardo glaciale … e di poche parole? E chi non si è sentito una volta o l’altra nella vita così teso e impacciato da non trovare niente da dire o non sapere come rispondere?
Cosa hanno in comune questi due esempi? L’assenza o la rarità dei gesti. Da quanto è emerso da uno studio in corso di pubblicazione di Robert Krauss e Ezequiel Morsella della Columbia University di New York, parlare fluentemente, in modo colorito, avere la battuta pronta è legato all’espressività e alla quantità dei gesti che facciamo durante il dialogo. E sembra che ora se ne siano individuate anche le basi neurologiche.

Si suppone da tempo che il linguaggio abbia avuto origine dai gesti e le osservazioni sull’acquisizione della parola sembra avallare questa ipotesi; solo in tempi recenti ci si è accorti che l’espressione verbale ha tutt’altro che soppiantato i gesti e che proprio questi ultimi sono parte integrante della facoltà di parlare con proprietà e scorrevolezza.
Una delle prime osservazioni al riguardo la si deve allo psicologo Bernard Rimé dell’Università di Louvain in Belgio che ha notato come quando nel dire qualcosa si gesticoli, il movimento anticipa sempre la parola. In un recente studio in cui i soggetti erano immobilizzati, si è constatato come questi ultimi, parlando, avesserò difficoltà ad esprimersi e provassero molto spesso la sensazione di avere una “parola sulla punta della lingua”. Un indagine in cui era stato impedito ai partecipanti di muoversi hanno dimostrato come l’eloquio diventi più povero, più “insipido”, l’articolazione delle parole appaia più stentata e aumentino gli errori di pronuncia.
Sempre nella stessa ricerca è stato messo in luce che numero e ostentazione nei gesti cambiano in relazione all’argomento di conversazione: sono minori quando si ci riferisce a un concetto astratto; per contro, sono più vivaci ed espressivi mentre si descrivono scene, azioni o  oggetti concreti. Inoltre, se si devono illustrare gli aspetti spaziali di qualcosa e si è impossibilitati o inibiti ad usare dei gesti, il discorso risulta più impreciso e meno particolareggiato.

Il nuovo studio di  Krauss e Morsella, psicologi alla Columbia University a New York, sul rapporto tra linguaggio e gesti ha gettato nuova luce sull’argomento. I due ricercatori  avevano applicato all’estremità superiore destra dei soggetti seduti degli elettrodi che danno modo di registrare la presenza di tensione muscolare. Ai partecipanti venivano quindi lette delle definizioni di utensili, cose e idee e veniva chiesto loro di dire il nome di ciò a cui ci si riferiva.
Dall’esame delle risposte e dal confronto con gli elettromiogrammi, i ricercatori hanno osservato che i termini concreti suscitavano una maggiore contrazione nei muscoli dell’arto dominante. Per altro, è stato anche constatato che, benché tensione e movimento dell’altro braccio non fossero misurati, anche questo veniva mosso assieme alla mano e che i movimenti erano tuttal’altro che scomposti: anzi, erano realizzati in modo tale da fornire una raffigurazione plastica del termine cercato oppure dei movimenti che si fanno nell’afferrarli o nel farne uso; così ad esempio, nell’atto di recuperare il nome “pianura”, i soggetti muovevano la mano a raggera e nel ricordare il termine “spiedo”, eseguivano una rotazione con il pugno semichiuso.

Per spiegare queste relazioni, gli autori hanno abbracciato la tesi elaborata dall’equipe di neurologi dell’Università Cattolica di Roma, capitanata da Gainotti: sulla base di osservazioni su individui che avevano subito danni cerebrali, questi studiosi ritengono verosimile che quando apprendiamo il significato di un oggetto, lo archiviamo nella memoria assieme alle azioni e alle contrazioni muscolari che compiamo usandoli o che eseguiamo per comprenderne il funzionamento.

Così, quando ci troviamo a richiamare a mente il suo nome, recuperiamo in realtà l’intero complesso di informazioni ad esso legate. In altre parole, si attivano non solo l’area linguistica del cervello, ma anche quella motoria e premotoria dove immaganizziamo le sequenze di azioni fra loro coordinate. La evocazione nel cervello del movimento  metterebbe automaticamente in moto i muscoli e ci spingerebbe ad accennare per lo meno parte della sequenza; questa, a sua volta, diverrebbe un “spunto” per ricordare il nome dell’attrezzo o dell’oggetto.

Per quanto riguarda il recupero dei nomi di cose concrete si attiverebbe, invece, l’area di integrazione sensoriale (in questo caso, tra il senso del tatto e la vista). Semplificando, possiamo dire che per capire meglio la struttura o i rapporti spaziali di  qualcosa è come se passassimo una mano immaginaria su una sorta di suo “modellino”; in questo modo, oltre a vedere differenze in altezza, angoli e avvallamenti, sentiremmo anche le dimensioni tattili corrispondenti, cioè rilievi, spigoli o infossature:  invieremmo poi il tutto nella memoria assieme al nome della cosa … al momento della sua “rievocazione”, adotteremmo quindi un processo analogo a quello indicato per il ricordo dei nomi di oggetti .

Introduzione alla comunicazione multimodale

Prezzo € 16,80
Compralo su Macrolibrarsi

A ognuno di noi sarà capitato, parlando con qualcuno, di pensare “c’è qualcosa che non mi convince nella sua voce”, o “ha fatto un gesto eloquente”, o “il suo sguardo esprimeva tutta la sua disapprovazione”. Questi messaggi che dicono più delle parole ci arrivano da altre parole, a volte impercettibili, del corpo. In realtà, siamo tutti poliglotti: parliamo con le mani, gli occhi, il viso, i movimenti e le posture, il contatto fisico. Ma se da millenni si compilano dizionari e grammatiche, perché non studiare anche le “parole del corpo”, perché non cercare, di questi sistemi di comunicazione, il lessico e l’alfabeto?

Questo libro spiega come fare un “gestionario”, un “occhionario” e un “tocconario” – lessici dei gesti, dello sguardo e del toccare. Oltre a studiare questi segnali singolarmente, è intrigante vedere come interagiscono in ogni atto comunicativo: in talk show e lezioni di scuola, dibattiti elettorali e sedute di logopedia, processi e film comici. A volte i messaggi si confermano a vicenda, a volte si contraddicono: dici che mi ami ma sento che mi respingi; mi sgridi, ma in modo bonario. E allora la multimodalità è strumento per i messaggi indiretti e contraddittori, per l’inganno, lo scherzo, l’ironia.

Perdoni quando ti senti ferito?

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Che fai quando ti senti ferito?

Sembra che in primo luogo sorga la “necessità” di restituire l’offesa, fare all’altro quello che ci è stato fatto, ripagare con la stessa moneta, più gli interessi “punitivi”.

E come ti sei sentito quando ti sei lasciato prendere da questo istinto?

Vuoi conoscere la tua possibilità massima? Qual è il tuo limite? Di cosa sei capace?
Allora devi fare qualcosa di diverso.

Proviamo: fai riaffiorare un ricordo o aspetta la prossima volta che ti senti ferito, chiuditi in te stesso, PIANGI, sentiti “vittima”, sentiti il “buono” e che tutto ciò che ti è capitato è ingiusto per te. Poi rimani in silenzio e ascolta da questo silenzio, ciò che hai da dire.

Questo sì che è un grande passo, e avrai molte possibilità per fare pratica ogni giorno.

Ora guardati di nuovo dentro e pensa: quante persone hai ferito tu? (è impossibile ingannare se stessi!). Quante persone hanno pianto per causa tua? Quanto di questo dolore lo puoi sentire come un dolore inferto a te stesso? Cerca di pensare a una situazione in cui tu hai fatto soffrire qualcuno e di cui ti penti con tutto il tuo essere. Quando ci hai pensato, chiediti se ti piacerebbe che ti perdonassero e che qualcuno guarisse il dolore che tu avevi provocato. Questo lo possiamo chiamare “consapevolezza dell’effetto dei nostri atti” perché sentire e pensare sono pure azioni.

Qui comincia il cammino più arduo: il perdono a te stesso e agli altri.

Con la parola “perdonare” non diciamo “dimenticare”, né mettere a tacere, con la parola “perdonare” prendiamo consapevolezza dei nostri errori, della nostra debolezza, delle volte che abbiamo ferito. Senza trovare giustificazioni comprendiamo e quando comprendiamo, questa comprensione si trasforma in compassione per coloro che abbiamo ferito.

E come noi abbiamo ferito qualcuno, altri hanno ferito noi e se noi possiamo perdonarci, possiamo perdonare e provare compassione anche per chi ci ha ferito.

Aver perdonato ti darà chiarezza nell’agire, ti porterà a smettere di reagire, imparerai a dominare la tua personalità, ti farà aumentare la gratitudine per ogni opportunità che ti viene offerta di conoscere te stesso e imparerai ad esprimere ciò che provi senza fare del male a nessuno.

Attenzione: è importante che tu sappia che se non perdoni con il CUORE, generi in te forze di repressione che prima o poi verranno fuori e che ti faranno male. Avanza fin dove il tuo amore per te stesso e per gli esseri umani te lo permetta. Non obbligarti a fare ciò che non senti. Lasciati guidare da chi o cosa ti ha portato fino a questa lettura e se non ti senti non farlo. Ricorda che sei tu a scegliere di crescere e di godere della tua crescita.

Il perdono è la chiave della felicità

Prezzo € 11,48

invece di € 13,50 (-15%)

Ricomincia da Te è un vero e proprio seminario creato per il lettore e che lo aiuterà gradualmente ad abbandonare le resistenze a lasciare andare quello che nel passato ha portato risultati negativi.
Il perdono porta alla comprensione che il passato è concluso per sempre, e restituisce intatte le proprie possibilità di affermazione. Le cause del conflitto spesso si trovano dentro di noi, nel nostro cuore, risolverle ci permette di affrontare il presente e il futuro con energie del tutto nuove.
Perdonare con responsabilità ci restituisce pienamente il nostro potere.

È proprio questo il momento per lasciare andare tutto quello che non ha funzionato nella tua vita.
E ricominciare da subito.

Q
uello che afferma il perdono è che il passato è passato.
(Con molti esercizi all’interno)

“NON PUO ESSERCI FORMA DI SOFFERENZA
CHE NON NASCONDA UN PENSIERO DI NON PERDONO.
NÉ PUÒ ESSERCI FORMA DI DOLORE
CHE IL PERDONO NON POSSA GUARIRE”
(Un Corso in Miracoli)

Le tue paure vengono dal passato perché è lì che abitano, perché ti ostini a volerle ospitare così spesso? Non sei costretto a sentire obblighi o doveri di cortesia verso di loro. Rimandale indietro da dove sono venute con un bel messaggio per il mittente: «Niente ho più a che vedere con voi, che siete solo le mie paure del passato».

Pensare bene per stare bene

stare-bene

Da che cosa nasce l’arte di valorizzare se stessi. Se avessimo ali per sfuggire al ricordo, molti volerebbero abituati a cose più lente, gli uccelli sgomenti scruterebbero l’interminabile schiera di uomini in fuga dalla mente dell’uomo.

Emily Dickinson

Domanda del giorno:

Che cos’è l’arte di valorizzare se stessi?

Esistono alcune situazioni “tipiche” in cui possiamo esercitarla: quando siamo cedevoli e non abbiamo certezze; quando non giudichiamo e siamo aperti al nuovo; quando ci appassioniamo e riusciamo a stare in silenzio; quando sappiamo che cos’è la compassione; quando non abbiamo obiettivi rigidi e prefissati; quando riusciamo a galleggiare nelle cose senza cercare di modificarle a tutti i costi;

quando consentiamo alla tristezza di fluire dentro di noi come un’energia purificante; quando non ripetiamo sempre le stesse cose e non abusiamo della facoltà di giudizio; quando ci siamo liberati della nostra storia.

L’arte di valorizzare se stessi – l’autostima – nasce dalla nostra capacità di vivere nel presente. Una capacità che era particolarmente connaturata all’essenza dell’uomo antico. Noi ci sentiamo molto contemporanei, molto tecnologici, estremamente veloci. Abbiamo perso il piacere della lentezza e il gusto della contemplazione; invece l’uomo “antico” non agiva sulla scorta dei giudizi, ma si lasciava andare, sapeva come abbandonarsi dolcemente nel ventre del mondo.

È questo l’atteggiamento che dovremmo re-imparare da lui: perché l’uomo antico non cerca di cambiare se stesso o gli altri, ma vive nel presente e non si proietta nel futuro né si aggancia al passato; l’uomo antico non si schiera, non si arrocca sulle proprie convinzioni, non sposa dogmi o ideali, ma agisce in maniera del tutto naturale e preferisce l’essere all’avere.

Il raggiungimento di questo stato di “presenza energetica” richiede un lungo percorso, che ci porta ben al di là della nostra esistenza quotidiana, e ci fa comprendere che noi, in realtà, non abbiamo nessuna forma di potere su noi stessi e sul mondo che ci circonda. Perché noi siamo generati a ogni respiro da una forza immanente, che è la stessa che forma L’Universo: non c’è bisogno di fare sforzi, è sufficiente essere.

L’Universo, del resto, è stato creato per l’uomo, è come un grande embrione che cresce con l’uomo. In questa immensa entità caotica e intelligente, la coscienza esisteva fin dall’inizio, ma era oscurata dal suo stesso vortice di creazione.

In maniera speculare anche noi, per ripercorrere quell’iter creativo, dobbiamo cercare di non oscurarci con false credenze e opinioni preformate, lasciando che anche la nostra coscienza affiori e generi un uomo nuovo, libero da maschere e abiti consunti.

Un uomo leggero, capace di volare in alto, finalmente privo di zavorre che lo ancorano a vecchi paradigmi.

Spogliamoci di tempi e aggettivi

Di solito noi tendiamo ad avere una visione quantitativa, se vogliamo “consumistica”, dell’autostima e della felicità. Ci domandiamo per esempio: Quanto sono felice?», ci chiediamo quali e quanti siano stati in passato i momenti in cui abbiamo immagazzinato più benessere.

di rado ci poniamo invece la domanda: Come sono felice?». E ci dimentichiamo che è la qualità di un sentimento che lo rende unico, non la sua consistenza quantitativa ne, tanto meno, la sua visibilità.

La qualità della felicità la rende un flusso creativo, riproducibile all’infinito: una sorta di pietra filosofale allemica che trasforma in benessere tutta la materia con la quale viene messa a contatto.

Consapevolezza è la pietra filosofale di noi stessi: non chiediamoci quanta ne abbiamo, consentiamole semplicemente di agire. I recenti studi di neurofisiologia hanno infatti messo in luce che la struttura biologica del nostro cervello viene modificata non soltanto dalle emozioni e i sentimenti, ma anche dalla normale attività di pensieri.

Tutto ciò in cui noi crediamo, le nostre convinzioni, la nostra visione del mondo, diventano nel cervello “abitudimi” che si materializzano, che si fissano sulla coscienza escludendone molte altre.

Il cervello trasferisce al corpo queste abitudini: per cui non soltanto i mali dell’anima dipendono dalla nostra filosofia di vita, ma anche le patologie somatiche discendono da una distorta attività cerebrale. Molto di questo inutile lavorio della mente, che si affanna ad agganciarsi alle abitudini, è determinato anche da una frequente e pericolosa tendenza a vivere nel passato: ciò che è trascorso e compiuto spesso è visto come un porto sicuro, un punto di riferimento, un patrimonio prezioso da tenersi ben stretto.

In realtà non si pensa che il cervello, questa macchina meravigliosa composta da miliardi di neuroni capace di spazzar via memorie anche molto recenti, può trattenere ricordi invece lontanissimi.

Se noi continuiamo a stimolarlo e incitarlo a questo pesante lavoro di “ripescaggio”, sollecitando la mente a lavorare “all’indietro” e non nel presente, corriamo il rischio di uscire dal presente e di vivere un’esistenza sbilanciata, in cui le energie psicofisiche sono frenate dalle griglie della memoria.

E lo stesso vale per il futuro: come avviene col passato, anche la tendenza a guardare sempre avanti, a fare progetti a lunga scadenza, a porsi obiettivi di lunga durata, ci impedisce di godere della carica energetica dell’oggi.

Per questo dobbiamo ricorrere al pensiero dei saggi e dei maestri che sembrano aver conosciuto meglio di altri il modo migliore per far funzionare il cervello secondo le sue naturali attitudini, e non in base a quelle che assorbiamo dall’ambiente, dalla cultura, dalle mode, dalla psicologia di massa.

A questo punto, possiamo riassumere i consigli da tenere presenti per proseguire sulla via dell’autostima.

Sono considerazioni di vari maestri, antichi e contemporanei che, come vedremo, hanno come finalità quella di ripulire la coscienza dal giogo dei pensieri dominanti, dal pesante fardello dei ricordi e dall’ansia insinuante del futuro, dagli schemi e dalle false credenze.

Cerchiamo di farne dei punti di riferimento della nostra quotidianità, trasformiamoli in suggestioni da ricordare ogni giorno: funzioneranno come “fluidificanti” lungo il cammino che abbiamo iniziato insieme…

● “Più lontano tu vai meno conosci. Senza peregrinare il Saggio apprende”. (LaoTze)

Il grande saggio cinese indica che la conoscenza, la gioia di vivere, la felicità non dipendono dal nostro immergerci nell’esteriorità. La conoscenza è tanto più salutare quanto più ci immergiamo dolcemente dentro noi stessi. Insegnamento tanto più valido in quest’epoca, in cui corriamo da un viaggio all’altro, da un’informazione all’altra. Quando si smette di cercare fuori di sé, cioè negli altri, la soluzione dei loro problemi.

● “Chi desidera non vuole: il desiderio, la paura e il pentimento uccidono la volontà”.

(G. Kremmerz, alchimista)

Sentiamo bene

Il grande alchimista indica una prerogativa fondamentale del cervello: se viene riempito di desideri, di pensieri, di paure, di sensi di colpa la sua capacità di volere, di creare schema, si riduce inesorabilmente. Quando si smette di “ce-rebralizzare”, vale a dire di pensare e ripensare alle cose che si desiderano, la volontà si afferma spontaneamente, e ci si accorge che riesce con estrema facilità a realizzare ciò che cercava.

● “Ogni parola che dici cambia il mondo”.

(Il Rebbe Lubavitch, pensatore)

II grande saggio chassidico indica che: “Noi diventiamo le parole che diciamo a noi stessi e agli altri”. Se ti lamenti, ti lamenterai sempre di più; se sei iroso, ti arrabbierai sempre di più.

Le parole infatti sono vibrazioni che, entrando in noi attraverso l’orecchio, modificano la sostanza cerebrale: per questo i mistici di tutte le Tradizioni stavano a lungo in silenzio, senza parlare.

di Sergio Morelli

Pensare bene per stare bene

“La causa dì quasi tutti i problemi riguardanti la nostra salute ha un comune denominatore che può avere diversi nomi: pensiero, mente, cervello, stato d’animo, idea, ragione, sentimento, anima e così via, Ma l’organo del pensiero, purtroppo, non ha fino a oggi un nome e un’identità precisa. Perché? È proprio necessario che tutto ciò che gira intorno al cervello umano resti così misterioso e metafìsico? lo credo che sì dovrebbe almeno intraprendere un tentativo per cercare di analizzare e di decifrare questa inesplorata e irraggiungìbile entità, che tanta importanza riveste nella nostra vita.

Per questa ragione mi permetto, insieme a te, caro lettore, di affrontare il problema del nostro ‘pensare’, dì come esso si sviluppi in me e in te, di come possiamo comandare i pensieri e come i pensieri comandino noi, come per uno stato d’animo i nostri occhi possano splendere di gioia o riempirsi di lacrime dì tristezza, come una forza inferiore ci dia energia per vivere e nello stesso tempo ce la possa far mancare, come una semplice idea ci regali sonni tranquilli o ci rubi notti intere, come uno stato mentale negativo alla lunga ci crei buchi nello stomaco e come, nello stesso tempo, un atteggiamento mentale positivo ci faccia guarire da una malattiia grave.

Tutto questo non è fantascienza e non fa parte dì un mondo lontano. Tutto questo è dentro dì noi“.

Cos’è in fondo un bacio?

Un bacio, in fondo, cos’ è? Un giuramento fatto un po’  più da vicino, una promessa più precisa, una confessione che si vuol confermare…”.

bacio_amore

Ti ricorda qualcosa questa frase? Probabilmente no. E se provassi a darti un altro indizio?

“Un bacio, insomma, che cos’è mai un bacio? Un apostrofo rosa fra le parole “t’amo”(….)un segreto detto sulla bocca”.

Ecco, ora forse è più chiaro il riferimento all’opera di Edmond Rostand, Cyrano de Bergerac.

Cos’è in fondo un bacio, chiede Cyrano? E’ solo un piccolo gesto: il più semplice e naturale al mondo.
Quante cose si dicono con un bacio? Ci baciamo per esprimere amore, tenerezza e passione, per dare una prova di fiducia, di confidenza, di disponibilità, per fare la pace dopo un litigio o per augurare la buona notte.
Potresti mai immaginare di non poter baciare la persona che ami? L’importanza del bacio nel rapporto di coppia è universale, evidente,intuitiva.

Le relazioni si costruiscono intorno al bacio. Baciarsi è la prima forma di intimità che un uomo e una donna  sperimentano e diventa, con il tempo, il simbolo di complicità e solidità della coppia.
Un gesto così semplice può mantenere viva la passione nel tempo, se solo impari a valorizzarlo e a riconoscergli la giusta importanza.

Dai più valore ai piccoli gesti! A volte basta solo un bacio per dimostrare al tuo partner quanto è importante per te!

In fondo, come dice la pubblicità di una nota marca di cioccolatini: “Un bacio è  qualcosa di più!”


John Gray

Conoscersi, Capirsi, Amarsi

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“La sfida che bisogna affrontare quando si vive un rapporto di coppia è superare i conflitti, fondendo le differenze fino a formare un’alleanza che funzioni. In ogni ambito che ci vede su posizioni differenti c’è un forte potenziale di conflitto oppure di crescita. In parole povere, ogni differenza è un’opportunità per rafforzare la capacità di instaurare rapporti armoniosi tramite soluzioni che soddisfino entrambi”. John Gray

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