Sono quello che sono!

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Concediamoci del tempo per riflettere, per guardare dentro di noi, smettiamola di maltrattarci per rispondere a dei cliché dettati dalla società ma che non ci appartengono; impariamo a “sentire” il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra psiche e con coraggio e un po’ di sano egoismo realizziamo i nostri desideri.
Affinché un giorno potremmo dire: “SONO QUELLO CHE SONO!” e non “avrei voluto essere…avrei voluto fare…ma…”, non c’è ma che tenga, è tempo di darsi da fare, dobbiamo diventare i costruttori della nostra vita.

Imparare l’Ottimismo

ottimismo

Ottimisti e pessimisti vivono in mondi differenti e reagiscono alle stesse circostanze in modi completamente diversi. Supponiamo che chiediate a un amico al lavoro o a scuola di pranzare insieme a voi e questi rifiuta. Come reagite? Un pessimista potrebbe pensare: «Non gli piaccio; è perché non sono interessante o attraente». Questi pensieri portano con sé altri tristi pensieri e gradualmente portano a pensare di essere privi di valore. Al contrario, una persona con un approccio alla vita ottimistico potrebbe pensare che l’amico è semplicemente occupato e decidere di riprovarci un’altra volta.

Facciamo un altro esempio. Una sera, prima di uscire, una donna chiede al marito di fare il bagno ai figli e di metterli a letto. Al suo ritorno li trova tutti sul sofà intenti a guardare la TV. Una reazione potrebbe essere: «Non ci posso credere! Perché non riesce a fare la più piccola cosa che gli chiedo di fare? Perché devo essere sempre io quella che grida ai bambini di andare a letto?». Troppo infuriata per parlare, spegne bruscamente la TV e spedisce i bambini a letto. Dopo un lasso di tempo carico di tensione, comincia a rammaricarsi della sua rabbia e a pensare scontenta: «Mi odio quando faccio così! Ma vorrei che fosse più comprensivo! Non si interessa affatto a me, ecco perché reagisco in questo modo. Il nostro matrimonio è un fallimento…». I pensieri negativi si ingrandiscono come una palla di neve che rotola giù da un pendio. Ma c’è un altro modo di reagire alla stessa situazione. È altrettanto possibile, trovandoli tutti a guardare la TV, dire: «Perbacco, siete ancora svegli? È così interessante il programma? Bene, allora fatemelo vedere un po’ insieme a voi, ma tra poco dovrete andare a letto». Una persona che reagisce in questo modo potrebbe pensare: «Oggi ha voluto passare un po’ di tempo con i bambini», lasciar perdere la rabbia iniziale e adottare un atteggiamento positivo.

Il pensiero pessimistico

Martin Seligman, ex presidente dell’American Psychological Association, identifica tre caratteristiche del pensiero pessimistico. Le descrive nel suo libro “Imparare l’ottimismo: come cambiare la vita cambiando il pensiero

La prima è la permanenza. Questo significa considerare come durature e immutabili situazioni temporanee e fortuite. Per esempio, la vostra superiore vi redarguisce. Voi reagite pensando: «Quanto la odio» e da lì continuate a pensare a tutte le cose che detestate di lei. Il rimprovero è un evento isolato e momentaneo, ma lo trasformate in qualcosa di permanente pensando che «Lei è sempre così» e «Qualunque cosa faccia, non cambierà mai». L’ottimista invece pensa: «La responsabile è di cattivo umore oggi. Deve avere qualcosa per la testa», limitando l’evento a quel giorno e non estendendolo oltre.

La seconda caratteristica è la pervasività. Quando una cosa va male, un pessimista pensa che tutto vada in rovina. Quando qualcuno sottolinea un errore a una persona del genere, questa penserà: «Sono un buono a nulla, non so fare niente» e si scoraggerà. Invece di pensare che c’è qualcosa da sistemare, individui così pensano che sia stato negato il loro valore come persone. Un puntino si ingigantisce fino a diventare un’enorme nuvola nera che riempie la mente. Si perde la fiducia e si commettono più errori, creando una spirale verso il basso.

La terza caratteristica del pessimismo è la personalizzazione. Vale a dire pensare che ogni evento negativo accada a causa vostra e ogni evento positivo vada imputato ad altri o al caso. Per esempio, quando un atleta o una squadra ottimista perdono una partita, pensano: «A volte si vince, a volte si perde» oppure «L’altra squadra ha dominato la partita oggi». Non si addossano semplicemente la responsabilità della sconfitta. Ma quando un atleta pessimista perde, pensa: «Ho perso la concentrazione, ne ho lasciati passare tanti» oppure «Tirando così non vinceremo mai». Quando due squadre si equivalgono, spiega Seligman, è più probabile che vinca quella più ottimista.

Ovviamente non si può perdere di vista la realtà e, in una versione estrema dell’ottimismo, attribuire allegramente agli altri ogni evento negativo che capita. Tuttavia il pessimismo ci induce a un’inutile autocritica.

Il potere della mente

Quando iniziai a studiare gli scritti di Seligman provai subito interesse per le sue teorie. La mente, osservai, è una cosa meravigliosa. Come scrisse Milton nel Paradiso perduto: «La mente ha in sé la propria dimora, e in sé / può fare di un inferno il paradiso e del paradiso un inferno». Il Result Oriented Counselling insegna che la qualità della nostra vita dipende in definitiva dalla mente. E’ quindi anch’esso è una psicologia della speranza, e speranza è la mia parola preferita.

Anche Seligman sostiene infatti: «L’ottimismo è speranza. Non è assenza di sofferenza. Non è essere sempre felici e soddisfatti. È la convinzione che sebbene si possa sbagliare o si possa avere un’esperienza dolorosa, si può agire per cambiare le cose».

Secondo Seligman, è più probabile che gli ottimisti abbiano successo nel lavoro o nelle relazioni personali. Godono di migliore salute e vivono più a lungo. Egli osserva che l’impatto del nostro modo di fare sulla salute diventa più marcato a partire dai 45 anni.

Le teorie di Seligman si basano sull’idea che le persone possano cambiare. Cambiando il nostro modo di pensare possiamo cambiare la nostra vita. Seligman sostiene che la psicologia dopo la Seconda guerra mondiale si era interessata per lo più a coloro che avevano gravi disagi psicologici ma che egli aspirava a ciò che definiva una “psicologia positiva”, che desse alle persone coraggio, speranza e forza.

Egli confessò di essere stato un pessimista e di aver imparato a essere ottimista. Fu dopo la morte del padre, un valente impiegato statale che a un certo punto aveva deciso di concorrere per un’alta carica pubblica nello stato di New York. In quel periodo – Seligman aveva solo 13 anni – il padre fu colpito da una serie di ictus che lo lasciarono paralizzato, perse ogni speranza e precipitò in una sensazione di impotenza in cui rimase fino alla morte, avvenuta diversi anni dopo. Vedendo questo, Seligman decise di ricercare che cosa facesse sentire le persone impotenti in certe circostanze, e se ci fosse un modo per superare questa sensazione.

Forse per questi eventi, Seligman emana una calda umanità, animata dal nobile scopo di aiutare gli altri. La sua “rivoluzione psicologica”, basata su una profonda fiducia nel potenziale umano, da alcuni è stata definita il maggiore sviluppo della psicologia dai tempi di Freud.

Il pensiero abituale

Per Seligman occorre diventare consapevoli delle spiegazioni che diamo agli eventi, del dialogo inconscio che conduciamo con noi stessi quando ci imbattiamo in qualche problema. Un metodo che egli suggerisce è scrivere quel che si pensa di fronte ad alcune situazioni frustranti. Se ci accorgiamo di essere inclini a reagire agli eventi in modo pessimista, ci possiamo esercitare a “contestare” le nostre convinzioni negative.

Per esempio, supponiamo che telefoniate e lasciate un messaggio a un amico chiedendogli di richiamarvi, ma lui non lo fa. Una persona con una tendenza pessimista penserà: «Mi sta ignorando» oppure «Forse non richiama perché sono sempre egoista». Se sentissimo qualcun altro fare queste affermazioni, noteremmo subito che sta saltando a delle conclusioni negative. Ma quando la conversazione è tra sé e sé, sembriamo pronti a credere il peggio. Ecco perché imparare a mettere in discussione le nostre convinzioni negative può essere d’aiuto: «Di fatto, è sempre stato gentile con me. Non mi sta ignorando, ha detto che aveva una settimana piena».

Oppure potreste provare a dirvi: «Anche se mi stesse ignorando, dov’è il problema? Non posso essere perfetto in tutto e non piacerò sempre a tutti. Qualunque cosa possano pensare gli altri, sto facendo del mio meglio. Almeno ho il merito di averci provato!».

Seligman afferma che dovremmo allenarci a questo tipo di pensiero positivo imprimendo nella mente frasi ottimistiche. Una volta acquisita la tecnica per essere ottimisti, non la si perderà più. In questo senso assomiglia molto all’imparare a nuotare o ad andare in bicicletta.

Imparare la gioia della sfida

Allo stesso modo Seligman fa notare come, nella maggior parte dei casi, i voti bassi non siano un indice di scarsa capacità; piuttosto sono un’indicazione che lo studente o la studentessa tende ad avere una visione pessimistica di sé. Gli studenti che credono di non essere brillanti o di essere incapaci, di fronte a una sfida spesso rinunciano. Non è che non siano motivati o dotati, è che non hanno imparato l’ottimismo che li aiuterebbe a superare gli ostacoli. Basta che i genitori pensino che il bambino non sia intelligente e il bambino, percependolo, adotta un’immagine di sé pessimistica. È ancor peggio se, ogni volta che il bambino prende un brutto voto, i genitori gli dicono cose come «Non ti impegni abbastanza», «Sei pigro» oppure «Sei così negligente che non controlli neppure i tuoi compiti». Poco a poco il bambino comincerà a considerarsi pigro e negligente. Quando i bambini che sono diventati pessimisti inciampano in un sassolino, nella loro testa lo trasformeranno in un’enorme montagna. Terrorizzati dall’insuccesso, saranno più inclini a sbagliare proprio a causa della loro paura.

La maniera migliore di aiutare i bambini a sviluppare un modo di vedere positivo non è pretendere che realizzino questo o quello, ma rassicurarli che ce la possono fare. Quando sbagliano qualcosa, invece di rimproverarli, potreste dire: «Di solito fai molto meglio. Non è da te». Seligman non ci sta suggerendo di lodare costantemente i bambini, ma di insegnare loro ad avere la fiducia di superare gli ostacoli e di comunicare loro la gioia che scaturisce da quella sfida.

Superare l’egocentrismo

Seligman osserva che mentre il mondo sviluppato gode attualmente di un benessere senza precedenti, le persone pessimiste e depresse sono in aumento. Egli identifica la causa di questa epidemia di pessimismo nell’egocentrismo e fa notare anche il declino di sostegni come la religione, la società, i legami familiari e le comunità.

Anche l’educazione ha contribuito, focalizzandosi troppo sul non urtare l’autostima dei bambini, trascurando di insegnare un modo di vivere in cui non si teme il fallimento, ma ci si diverte a superare le sfide. In altre parole, gli adulti devono vincere il loro egocentrismo. Gli adulti devono mostrare ai bambini il modo di superare gli ostacoli. Una delle ricerche di Seligman rivelò che il livello di ottimismo di una madre e del suo bambino erano molto simili, sia che il figlio fosse maschio che femmina. Invece l’impatto del padre sui bambini, a questo riguardo, era molto più limitato. Cambiare il proprio atteggiamento interiore può spalancare la via a cambiamenti positivi infiniti..

Piuttosto che frasi come: «Non fa alcuna differenza» o «È impossibile», in qualunque circostanza impariamo a dire: «Posso farcela! Posso cambiare quello che non mi piace!».


Martin Seligman

L’ottimista (nato pessimista)

Chi nasce quadro, non può morire tondo, dice il proverbio. Chi nasce pessimista, può diventare ottimista, dice con la sua vociona tonante Martin Seligman. La sua giovinezza viene assai influenzata dalle vicissitudini del padre. La sorella maggiore che già studia al college, gli fa conoscere Freud.

Il giovane Seligman è affascinato da quelle letture, in cui si riconosce. Si iscrive all’Università di Princeton con l’intenzione di uscirne psicologo o psichiatra, ma il dipartimento di filosofia, tra i migliori al mondo, lo cattura. Non abbandona il suo progetto iniziale: la filosofia della mente e la filosofia della scienza sembrano alleate. È sicuro che le domande che si poneva Freud siano giuste, ma le risposte e i metodi del grande studioso non lo convincono più. Si specializza in psicologia presso l’Università della Pennsylvania dove trova un ambiente favorevole per gettare le basi delle sue teorie e dimostrare che la straordinaria capacità di reagire di fronte alla sconfitta non è un tratto innato, privilegio di pochi, ma una capacità che può essere appresa da chiunque. Nasce così la psicologia positiva, come egli stesso la definisce.

A oggi ha pubblicato 15 libri e oltre 150 articoli sulla motivazione e la personalità. Le sue ricerche gli hanno valso lauree honoris causa, dottorati onorari e diversi altri importanti riconoscimenti in tutto il mondo. Nel 1996 viene eletto con un plebiscito presidente dell’Associazione Americana degli Psicologi. Lavora tuttora all’Università della Pennsylvania dove è professore emerito.

di Chiara Svegliado da www.professionalcounselling.it

Come cambiare la vita cambiando il pensiero
ISBN: 8809041135

Prezzo € 9,50

Seligman presenta in questo libro alcune semplici tecniche utili a risorgere dal pessimismo e dalla depressione. L’ottimismo è un ingrediente essenziale del benessere e del successo ed è il modo di guardare alla vita che distingue gli ottimisti dai pessimisti. Chiunque può diventare ottimista: basta imparare a collegare il successo non a circostanze favorevoli ma alle proprie abilità e al proprio impegno e riuscire a vedere nell’insuccesso non un fallimento personale ma solo un incidente di percorso.